Quando, circa 25 anni or sono, Saman fu fondata il mondo girava in un certo verso. Al tempo stesso si poteva anche girare al contrario o non girare affatto.
Insomma la vita poteva, ancora, essere inventata.
Si diceva, allora, che il lavoro ci avrebbe afflitto sempre meno e che, presto, i robot avrebbero affiancato l’uomo nei lavoro più pesante e ripetitivo e nelle incombenze più fastidiose.
Saman significava e significa “canzone” e la gioia espressa in tale termine si è sempre cercato di tradurla nelle azioni quotidiane.
Si diceva allora, e si dice adesso, che era lussuoso vivere in Saman proprio a dimostrare che Saman si distingueva dalle altre organizzazioni per avere emendato ed espulso dalla propria esistenza quel corollario di concetti strani ed astrusi che, al contrario, accompagnavano molte realtà associative. I sensi di colpa, la logica del pentimento e la mistica della sofferenza rappresentavano e rappresentano ancora oggi per noi terminologie e concetti lontani e incomprensibili.
Si raccontava allora che l’inferno, il tossicodipendente, lo aveva già provato e si doveva provare a donargli il paradiso. In terra, non in una vita futura.